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LE PAROLE DEL LAVORO



Licenziamento individuale

 

Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa o per giustificato motivo.

Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro 15 giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso, il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto. In difetto il recesso è inefficace.

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto.

Diversamente, il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata.

L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.

Il termine di cui sopra decorre dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento.

Il lavoratore che intenda proporre in giudizio una domanda relativa all’impugnativa del licenziamento deve preliminarmente promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione istituita nanti la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

Qualora il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento, ovvero ne dichiari la nullità, ordina al datore di lavoro, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro (tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro).

Il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto.

In assenza dei requisiti dimensionali di cui sopra, il giudice che accerti l’illegittimità del licenziamento, ordina al datore di lavoro di riassumere il lavoratore entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, di risarcire il danno corrispondendogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Nel caso di datori di lavoro con oltre 15 dipendenti (occupati in più di un comune), la misura massima della predetta indennità può essere maggiorata:

 

- fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità di servizio superiore ai 10 anni;

 

- fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a 20 anni.

 

Il lavoratore può essere licenziato anche in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo (cd. licenziamento "ad nutum") nei seguenti casi:

 

- lavoratori in periodo di prova;

 

- lavoratori domestici;

 

- lavoratori in possesso dei requisiti di legge per il conseguimento della pensione di vecchiaia.

 

Il licenziamento dei dirigenti può avvenire a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo; il provvedimento deve essere tuttavia intimato per iscritto.

 

Riferimenti normativi: artt. 2118 e 2119, codice civile; artt. dal 409 al 412bis, cod. proc. civ.; Legge 15 luglio 1966, n. 604; art. 18, legge 20 maggio 1970, n. 300; Legge 11 maggio 1990, n. 108

 

Studio Associato Graffigna & Ravaioli Consulenza del Lavoro